Riscoprire la gentilezza: il ponte dimenticato tra le generazioni e le relazioni

“La gentilezza è il linguaggio che il cieco può vedere e il sordo può sentire.” – Mark Twain

Cos’è cambiato dagli anni ’70 a oggi?

Negli anni ’70 la gentilezza era una competenza tacita, trasmessa per osmosi educativa.

La famiglia – anche se più autoritaria – era un presidio valoriale; la scuola insegnava il rispetto formale; la parrocchia e l’oratorio infondevano senso di comunità; il servizio militare forgiava disciplina e spirito di gruppo.

 

Oggi, in una società più fluida e frammentata (Bauman), l’educazione alla gentilezza si è indebolita.

La scuola è sovraccaricata, la famiglia spesso delega, e le agenzie informali (come il volontariato giovanile) non sempre intercettano i nuovi bisogni.

 

La psicogeografia urbana (degrado, individualismo metropolitano) e la digitalizzazione relazionale (distanza emotiva, linguaggi sbrigativi) hanno reso la gentilezza quasi un “optional”.

Eppure qualcosa resiste.

Nelle piccole comunità, tra volontari, nei contesti educativi innovativi, la gentilezza riemerge come atto rivoluzionario di umanità.

 

Cosa si perde in assenza di gentilezza?

Nel mondo del lavoro, l’assenza di gentilezza genera:

  • microconflitti silenziosi che erodono il clima aziendale;

  • mancanza di feedback costruttivi;

  • disaffezione e turnover latente (Gallup, 2023).

Nella società civile, la scortesia sistemica alimenta:

  • sfiducia istituzionale;

  • isolamento emotivo;

  • indifferenza sociale.

Uno studio dell’Università di Harvard (2022) ha dimostrato che in ambienti lavorativi dove si promuove attivamente la gentilezza, la produttività aumenta del 20% e il livello di stress cala del 35%.

 

Quali politiche di gentilezza si possono progettare per il futuro?

Nel lavoro:

  • Formare i manager all’empatia assertiva.

  • Introdurre riti quotidiani di gratitudine (es. “1 ringraziamento al giorno”).

  • Premiare le soft skill relazionali nei sistemi valutativi.

Nella società:

  • Introdurre l’educazione alla gentilezza nelle scuole come materia trasversale.

  • Creare spazi intergenerazionali (orti sociali, biblioteche di comunità).

  • Introdurre un bonus civico per i comportamenti gentili e pro-sociali, come già sperimentato in alcune città nord-europee.

Conclusione: la gentilezza come rivoluzione quotidiana

In un tempo in cui si corre, si giudica e si risponde prima ancora di ascoltare, scegliere la gentilezza è un atto rivoluzionario. Non è debolezza, non è perdita di tempo. È un investimento relazionale, un gesto di cura verso sé stessi, verso l’altro, verso la comunità.

 

La gentilezza ha un potere trasformativo: disarma i conflitti, ricuce le distanze, accende il senso di appartenenza.
Non costa nulla, ma può cambiare tutto.
Non si impone, ma si insegna e si coltiva.
Non è una regola scritta, ma una forma di intelligenza che si trasmette per esempio.

 

E ora, un piccolo invito per te che leggi

  • Hai ricevuto un gesto gentile ultimamente? L’hai donato?
  • Nel tuo ambiente di lavoro o nel tuo quartiere, quale forma di gentilezza ti piacerebbe vedere di più?
  • Se potessi proporre una politica concreta per “diffondere gentilezza”, quale suggeriresti?

Scrivilo nei commenti. Raccontalo. Condividilo.


Perché le idee diventano cultura solo quando vengono narrate, ascoltate e replicate.
E ogni parola gentile può diventare la scintilla di una relazione nuova.

 

Scegliamo insieme di riabituarci alla gentilezza. Perché dove c’è rispetto, c’è futuro!

 

Dott. Ermes Siorini

Counselor Coach Sociologo

 

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