MANAGER DELLA FELICITA': UN ESEMPIO DI INNOVAZIONE SOCIALE!

Viviamo in una società ove siamo spesso in viaggio e corriamo così tanto che non riusciamo a fermarci un attimo per dare valore a quanto abbiamo fatto e per goderci quello che possediamo nel presente.

Fermarsi ogni tanto ci permette di osservare il nostro percorso di vita da una prospettiva “orizzontale” per capire se stiamo vivendo bene l’unico tempo che merita di essere vissuto, il presente, se il nostro passato è un “alleato” o un “nemico” e se il futuro riusciamo a immaginarlo più ricco rispetto al nostro quotidiano.

E se ci fermiamo, comprendiamo che gran parte della nostra vita la viviamo in due reti sociali:

quella della famiglia e quella del lavoro.

La famiglia è considerata la cellula fondamentale della società e l’azienda presso cui lavoriamo dovrebbe essere un laboratorio sociale ove sperimentare oltre le competenze anche altre caratteristiche per migliorare il nostro benessere.

È così?

Spesso quando sento dei Top Manager parlare di innovazione aziendale la considerano solo come trasferimento e miglioramento di know how verso i colleghi. Ed è sicuramente importante ampliare e perfezionare il “COSA FARE” in azienda ma è l’unico investimento da prendere in considerazione per creare nel contesto lavorativo dell’innovazione sociale?

Personalmente ritengo che le aziende che già oggi affrontano un mercato sempre più orientato ai servizi e ove la differenza rispetto ai competitor, è dettata dalla maggior qualità della relazione che si instaura tra professionista e cliente, debbano attivare innovativi percorsi formativi e di comunicazione interna; e passare da un'organizzazione "piramidale" ad una “circolare” capace di facilitare tra tutti i colleghi la condivisione della mission aziendale (il PERCHE’) e di creare un metodo efficace (il COME) per ottenere gli obiettivi aziendali.

La performance di un collega migliora se vive in un ambiente di lavoro capace di prendersi cura del suo benessere fisico e mentale.

Perché asserisco ciò?

Perché alcuni studi evidenziano che il lavoratore del terzo millennio ha bisogno di responsabili professionalmente predisposti ad apprezzare il suo rendimento e di facilitarlo a migliorare le sue performance.

In sintesi se un’azienda tratta bene un proprio dipendente si genera il meccanismo “win-win” perché il collaboratore tratterà bene la propria azienda.

La mia esperienza mi porta ad affermare che in molte organizzazioni, "l'area di miglioramento" si colloca ove lavora il “middle management” che ha il delicato compito di ricevere la vision dal top management e di tradurla in mission verso la parte operativa di un’azienda.

Oggi il ruolo del “middle management” continua ad essere svolto in diversi casi secondo le vecchie logiche “piramidali” e puntando solo su COSA bisogna far fare ai collaboratori e quindi interessandosi esclusivamente delle competenze tecnico/commerciali; tale atteggiamento non è funzionale alle esigenze del personale del 21° secolo come dimostrano le statistiche recenti: i sondaggi di Gallup sottolineano che l’87% dei lavoratori è demotivato e ogni anno vanno in fumo “500 miliardi di dollari per mancata produttività”!

Ci sono ancora troppi “capi” ancorati alle logiche del secolo scorso e che pensano che gli obiettivi si possano ottenere solo con la cultura di far “pressione” ai propri colleghi.

Spingere i collaboratori ad ottenere dei risultati aziendali con questo approccio significa generare in loro forme di stress che si trasformano nel medio periodo in costi sia per l’azienda, (calo delle performance aziendali) sia per la collettività causa assenze per malattie, ecc..

Recenti dati evidenziano che le aziende che si rapportano con i colleghi come sopra descritto hanno registrato:

- un calo del fatturato di circa il 33%,

- un aumento dell’assenteismo del 37%,

- un aumento degli incidenti del 49%,

- un aumento di commettere errori del 60%.

Se continuiamo a “correre” senza fermarci, non capiremo l’importanza di rendere l’azienda un laboratorio sociale per sperimentare qualcosa che incentivi il benessere lavorativo e di conseguenza le percentuali citate tenderanno a peggiorare nei prossimi anni.

Cosa fare?

In un’organizzazione del lavoro, reputo che due siano le figure professionali fondamentali per iniziare il cambiamento: il middle management e chi si occupa del personale.

Un altro dato oggettivo: le aziende che negli ambiti descritti stanno assumendo personale che oltre ad avere una conoscenza di COSA proporre ai collaboratori sono dotati anche di altre soft skill come ad es. essere dei counselor capaci di rendere consapevoli i collaboratori delle loro potenzialità, dei coach in grado di condividere col proprio gruppo dei metodi efficaci per ottenere gli obiettivi e dei team leader capaci di creare le migliori condizioni per favorire esperienze e situazioni di benessere aziendale, hanno aumentato di molto le performance individuali e di gruppo.

Una ricerca condotta presso l’Università di Warwick in Gran Bretagna ha messo in luce che "le persone felici al lavoro sono il 12% più produttive, e che la felicità rende le aziende più produttive del 31%, le vendite aumentano del 37%, l’accuratezza di esecuzione dei compiti sale del 19%, la qualità della vita e il benessere mentale degli impiegati ne vengono beneficiati".

Questi dati sono una bellissima realtà in alcune aziende lungimiranti che hanno compreso la necessità di essere concretamente dei laboratori sociali perché la felicità porta sempre e solo dei benefici.

Un professionista che lavora spesso in azienda col sorriso porta anche a casa questo stato d’animo contribuendo a rendere anche il clima familiare felice e creando così un legame positivo tra le due reti sociali ove viviamo la maggior parte del nostro tempo.

E quando un bene prezioso come il nostro tempo viene vissuto col sorriso sia in famiglia sia in azienda, abbiamo concretizzato un’importante innovazione sociale!

Ermes Siorini

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